Responsabilità e Partecipazione

Come si scrive un editoriale, in mezzo a questo casino?

Non abbiamo idea di cosa succederà dopo. Non abbiamo nemmeno capito bene cosa sta succedendo ora. Forse non è il momento di chiederselo, peraltro, visto che qualsiasi tentativo di risposta si rivela debole, nel migliore dei casi. Angosciante, nel peggiore.

Penso che in qualche modo ne usciremo, ovviamente. L’umanità è sopravvissuta a molte cose, di gran lunga peggiori. Mi sembra, però, che questa crisi abbia una caratteristica diversa da tutte le altre: ognuno di noi è al fronte, ognuno deve fare la sua parte.

Siamo stati messi, violentemente e inderogabilmente, di fronte al fatto che siamo una comunità. Ci ammaliamo come comunità. Guariamo come comunità. L’individuo non esiste se non come parte di un insieme di cui si deve prendere cura: quello che facciamo noi, impatta su tutti.
Se usciamo di casa, qualcuno morirà.
Ma anche: se alcuni non vanno a lavorare, qualcuno morirà.
E poi: se quelli che possono non si danno da fare, qualcuno morirà.
E ancora: se gli altri non faranno la loro parte, magari moriremo noi.

È una di quelle cose che, a dirle un mese fa, suonavano teoriche, retoriche o buoniste. Poi, di colpo, frasi che usavamo come iperbole sono diventate letterali.
Oggi responsabilità e partecipazione sono – letteralmente una questione di vita o di morte.
E infatti in qualche modo funziona: la gente sta a casa, ci si preoccupa per gli altri, si mobilitano risorse ingentissime (dal punto di vista umano ed economico), anche e soprattutto a tutela dei più fragili. Non tutti certo, ma molti. La società, nel suo complesso, sta provando a reagire al virus come un corpo sano, che vuole guarire.

E poi? Chissà se ce ne dimenticheremo, tra sei mesi.
La prima cosa che mi auguro è che l’emergenza finisca presto. La seconda è che questo tempo, questa fatica, ci servano a imparare qualcosa.
Questa crisi potrebbe ridurre le distanze, oppure aumentarle. Potrebbe farci diventare un po’ più egoisti, difesi e soli; oppure farci capire che per quanto ne usciremo con le ossa rotte, ci sarà qualcuno per cui avrà avuto un impatto peggiore, devastante. E che la cosa ci riguarda.

Siamo legati gli uni agli altri, come salami. Non c’è un modo di star bene alla lunga (come individui, imprese, Paesi, Europa) in un mondo che sta male.
Prima ce ne rendiamo conto, prima potremo darci da fare per raddrizzare le cose. Oggi, per sopravvivere alla pandemia dal punto di vista sanitario, economico e sociale; domani per ricostruire salute collettiva, economia e società in un modo un po’ diverso, più capace di guardare al nostro impatto sul mondo, e all’impatto del mondo su di noi.
Dovremo inventarci qualcosa per ripartire, magari sapremo inventarcelo insieme.

Allora forse sì, andrà tutto bene.

Nicoletta Alessi