In mezzo c’è solo aria, e sopra lo stesso cielo

Qualche giorno fa, in chiusura dell’evento “L’economia di Francesco”, il Papa ha pronunciato un discorso interessante rispetto alla necessità di ripensare il modello di società in cui viviamo. Molte delle cose che ha detto non erano nuove nel discorso della Chiesa sullo sviluppo economico, ma una, in particolare, mi è parsa una presa di posizione forte, una netta e non paternalistica indicazione rispetto alla necessità di un’inversione di rotta anche da parte dei “buoni”:

“(…) non siamo costretti a continuare ad ammettere e tollerare in silenzio nei nostri comportamenti «che alcuni si sentano più umani di altri, come se fossero nati con maggiori diritti» o privilegi per il godimento garantito di determinati beni o servizi essenziali. Non basta neppure puntare sulla ricerca di palliativi nel terzo settore o in modelli filantropici. Benché la loro opera sia cruciale, non sempre sono capaci di affrontare strutturalmente gli attuali squilibri che colpiscono i più esclusi e, senza volerlo, perpetuano le ingiustizie che intendono contrastare.” 

Il Papa sta prendendo posizione contro il terzo settore? Contro la filantropia? Ovviamente no.

Mi pare però che questo paragrafo contenga almeno un paio di messaggi importanti, che vivo come un’indicazione per chi fa il nostro lavoro e che proverei a sintetizzare così:

  • Il terzo settore e i modelli filantropici “non bastano”: non significa che non servono (la loro opera è “cruciale”), ma che non si può affidare ad essi soltanto il compito di risolvere il problema degli squilibri economici e dell’ingiustizia sociale. Mi pare sia un monito forte a noi tutti – come individui privilegiati, come imprese – a non accontentarci di intervenire sui problemi in modo riparativo o compensativo, ma ad andare all’origine. La beneficenza che faremo dopo non ci assolve, non esonera nessuno di noi dalla responsabilità che abbiamo durante.
  • “Non sempre sono capaci di affrontare strutturalmente gli attuali squilibri”: il terzo settore più evoluto non solo ne è consapevole, ma sta già facendo i conti con i propri limiti, cercando di darsi strumenti diversi rispetto al passato (l’impresa sociale vs la filantropia classica, la generatività vs l’assistenzialismo). Il passo che – mi pare – resta ancora in gran parte da fare, è aprirsi alla collaborazione in modo strutturale. Lavorando con altri enti (al fine di costruire risposte complesse a problemi complessi) ma soprattutto imparando a dialogare con i cosiddetti “soggetti non convenzionali”, come le imprese, riconoscendo loro un ruolo sociale che vada oltre il mero scambio economico (a ben vedere, non si capisce in effetti come possa l’impresa essere considerata “non convenzionale” quando si parla dei temi del lavoro o del reddito).

Stiamo parlando di una conversione e trasformazione delle nostre priorità e del posto dell’altro nelle nostre politiche e nell’ordine sociale” conclude Francesco. Che è un po’ come dire che i ruoli e le categorie in cui ci siamo difensivamente arroccati (i ricchi e i poveri; l’occidente e il “terzo mondo”; il nord e il sud; il profit che genera ricchezza, il non profit che si occupa di sociale) non sono tali per ordine naturale, e men che meno divino. Ciò che ci è richiesto è di non fermarsi a confini tracciati nella terra, ma di alzare lo sguardo e riconoscere che in mezzo c’è solo aria, e sopra lo stesso cielo.

Nicoletta Alessi